Sono stanca, sarà la primavera?
A colloquio con la signora Rosalba L. di Trieste: dottoressa, non so più che fare. Ogni primavera si ripete lo stesso copione: stanchezza cronica, specialmente da metà pomeriggio in poi. A volte anche febbricola. La mattina alzarsi dal letto è un film. Riesco a malapena a lavorare in ufficio, la casa è un caos. Ogni anno faccio man bassa di ricostituenti, integratori, vitamine, oli essenziali. Non cambia niente. Sono io che sbaglio i prodotti? È la primavera che ogni anno peggiora?
Gentile signora Rosalba, le primavere sono sempre uguali, checché se ne dica. Piuttosto, ogni anno che passa il nostro organismo ha un anno in più. Sembra un’ovvietà, tuttavia non ci si pensa abbastanza. Quantomeno il pensiero non sorge spontaneo, presi come siamo dal mito dell’eterna giovinezza.
Un anno non è cosa da poco. In un anno si accumulano nel nostro organismo tossine di ogni ordine e grado. Si pensa sempre all’inquinamento ma, se vogliamo stilare una classifica delle avversità, non lo metterei al primo posto. Proprio no. Piuttosto che partire dall’esterno partirei dall’interno.
A tale proposito desidero citare il buon Luca, l’Evangelista. Quello che predicava di non fissarsi sulle pagliuzze contenute negli occhi degli altri ma di concentrarsi, piuttosto, sulle travi all’interno dei propri. Cogliendo questo meraviglioso insegnamento metto al 1° posto i cattivi pensieri, che non sono meno nocivi del fumo, dell’alcol o delle droghe, anzi.
La PNEI (Psico Neuro Endocrino Immunologia) ce lo conferma ed approfondisce ancor più la riflessione affermando che i cattivi pensieri permeano ognuna delle nostre cellule, dando origine a molecole con connotati poco simpatici ed in grado di modulare il funzionamento delle cellule stesse. Questo significa che gli organi e gli appartati si ritrovano a lavorare in un modo diverso, peggiore s’intende, inviando segni e sintomi.
A volte i sintomi sono lievi, a volte sono importanti. Spesso difficilmente interpretabili, passando in breve tempo da uno stato di salute a quello di malessere e/o malattia. I pensieri, lo si sa da molto tempo ormai, non sono innocui. Nel mio lavoro di ogni giorno incontro pazienti che si sono ammalati, in modo anche molto serio, dopo un grande dispiacere.
Lei pensa che il grande dispiacere sia esclusivamente la malattia o la morte?
No no. Il dispiacere è anche una mancata eredità. Oppure i figli che non prendono 10 a scuola. Oppure il confinante che non rispetta i limiti. Oppure l’avanzare inesorabile dei capelli bianchi. O un’ipotesi di tradimento. E che dire del mutismo del marito, ipnotizzato dalla tv? Peggio di tutti: il non riconoscimento da parte della persona amata. Che tradotto significa non sentirsi amati. Di peggio non c’è.
Confermati i pensieri al gradino più alto del podio, al 2° posto metto il cibo. Che, in ordine di importanza, viene immediatamente dopo i pensieri (e non potrebbe essere altro che così). Lo colloco immediatamente dopo perché è un oggetto irrimediabilmente legato all’ansia, generata dai pensieri. Cibo e ansia: una bomba atomica. Un missile puntato dritto sul fegato (o sul cuore, dipende dal soggetto).
Annegare tutti i dispiaceri in un bel tiramisù, per poi ritrovarsi con un mostruoso reflusso gastrico da gestire farmacologicamente. Siccome i farmaci il dolore lo fanno tacere (è il loro mestiere) si continua a mangiare il tiramisù. Che la volta dopo ti fa un bel mal di testa. E prendi una pastiglia, cosa vuoi fare? Morire di dolore?? A furia di farmaci il dolore tace ma il male si “ingrossa”. E arriverà il giorno in cui c’è anche la colite, qualcuno ulcerosa.
Mangia che ti mangia, l’appesantimento digestivo bussa alla porta del cuore, portando scompensi di varia natura: strane palpitazioni a riposo (ma come? Sono a riposo!!) tachicardie che iniziano di venerdì (ma come, proprio adesso?) e il lunedì mattina tutti in fila al pronto soccorso, moribondi, a elemosinare la certezza di una diagnosi.
Che naturalmente non arriva, perché non risulta nulla di anomalo, almeno di primo acchito. Ma insomma dal cardiologo è bene andare, dovremo pur capire da dove arrivano queste palpitazioni benedette! E aggiungiamo un betabloccante. I farmaci si sommano ai farmaci, che si sommano a nuovi sintomi, che si sommano ad altri farmaci. Ecco il girone dantesco, infernale s’intende.
Spalmata su tutto il quadro clinico ad un certo punto arriva una stanchezza senza pari, dopo 6/8 ore di lavoro un odissea alzare un foglio. Tornare a casa e spodestare tutti dal divano: sto male, ho la priorità. Il pensiero di doversi ancora alzare la mattina dopo mette l’ansia. Per placare l’ansia ci vuole il cibo: dammi una fetta di tiramisù, che non si sa mai che mi faccia bene. Ci si illude sempre, è una prerogativa dell’essere umano.
In tutto questo caos la tiroide spara numeri da terno al lotto: aggiungiamo un altro farmaco, questa volta un ormone. E qui non si scherza perché ti dicono che lo devi prendere per tutta la vita. Tutta la vita?!? Certo, dall’ormone tiroideo ti dicono che non puoi divorziare. Per il soggetto ribelle questo è un affronto inaccettabile. Un insulto. Ma alla fine lo prende.
Tirando una riga, dopo un anno trascorso in questo modo turbolento, posso affermare con assoluta certezza millimetrica che l’inquinamento è al 3° posto. E non me la sento di prendermela con la primavera. Povera primavera, è sempre umida uguale. Con i soliti sbalzi di temperatura. Tutto come sempre. Non me la sento di prendermela con i ritmi cosmici, geometrie meravigliose ed esatte. Le mie conoscenze di geografia fisica mi permettono di affermarlo con disinvoltura.
Sarebbe opportuno, invece, nutrire il nostro organismo di bei pensieri e cibo in linea con i nostri bisogni. In questo modo, semplicissimo (semplicissimo?), il nostro corpo sarebbe pronto a tutti i cambi termici e barometrici, dimostrando uno spirito di adattamento da vero campione.
L’ho definito semplicissimo perché lo è di fatto. Molto ma molto complicato è, invece, il modo con cui viviamo ogni giorno.