Pensieri e malattia

 

     Carissima Dottoressa, dopo aver letto il suo scritto sulla Prevenzione mi sono sorte spontanee alcune riflessioni, che vorrei condividere con Lei per conoscere la sua opinione al riguardo.
Lungi da me dirmi contraria alla prevenzione, anzi, credo che cercare di mantenere uno stile di vita quanto più possibile sano certamente aiuti. Eppure spesso mi ritrovo a chiedermi come mai siamo così poco inclini a pensare che il nostro benessere non stia solo in quello che mangiamo o non mangiamo, in quello che non beviamo, in quanto movimento fisico facciamo, ma anche in quello che proviamo e alle prove emotive a cui siamo sottoposti. Potrebbe essere d’aiuto cominciare a guardare come anche altri fattori, quali il modo in cui ci pensiamo, le emozioni che accettiamo e rifiutiamo, come elementi che indeboliscono il sistema nella sua totalità e lo portino ad ammalarsi (malattie con diagnosi fatte da medici laureati in Medicina e Chirurgia conformemente a quanto previsto per conseguire il titolo secondo la Repubblica Italiana, non da Google Inc.); se provassimo a guardarci ognuno come eccezione, con le proprie necessità da non giustificarsi, in forza del loro carattere personale?

 

     Giulia è stata una mia cara paziente. Ho avuto il piacere di farvela conoscere nell'articolo "siamo quello che NON mangiamo". Giulia è una tenace, si fa delle domande ed è guarita in virtù del suo farsi domande.

     Perchè hai voglia a dire che poi bisogna trovare le risposte. Certo, intanto fatti le domande che poi le risposte arrivano. Io sono stata una delle sue risposte, ad esempio.

 

     Cara Giulia il senso della tua domanda sta nelle ultime righe "se provassimo a guardarci ognuno come eccezione, con le proprie necessità da non giustificarsi, in forza del loro carattere personale?". Nessuno si guarda come eccezione perchè nessuno si crede unico. Quello che regna sovrano è il confronto, il paragone, nella ricerca di ciò che ci accomuna e non di ciò che ci rende diversi. Come se la diversità fosse un difetto.

     Pur non essendo un difetto occorre dire che il diverso calamita l'attenzione, attrae e comporta una buona dose di sfacciataggine per essere mantenuto in vita come caratteristica e non come difetto. In pratica il diverso bisogna saperlo valorizzare. Facile non è, serve impegno. L'impegno costa e a lungo termine premia. Uniformarsi al piattume generale non costa niente e a lungo termine ammala.

     La spasmodica ricerca dell'uguale porta a negare la propria unicità e, in qualche modo, i propri talenti. Negare i propri talenti significa annullarsi. Significa dire si quando quando si pensa no e dire no quando si pensa si. Significa azzerare i propri desideri e generare una società di frustrati. La frustrazione porta a malattia? Anche si. A tale proposito terminerò questo articolo con un pensiero di Cesare Pavese (che di "pensiero" ne sapeva qualcosa).

     Da Il mestiere di vivere - si accumula rabbia, umiliazioni, ferocie, angosce, pianti, frenesie e alla fine ci si trova un cancro, una nefrite, un diabete, una sclerosi che ci annienta.-