La solitudine è una malattia?

 

     A colloquio con il signor Ottorino C. di Padova: io sono così perché sono SOLO. La solitudine mi ha tolto la salute.


     Questa volta inizio in modo diverso. Come avrete già capito, la frase di apertura non è una domanda vera e propria. Ma la prima frase che mi ha detto un paziente all’inizio della visita. E nella prima frase, vi assicuro, c’è il nucleo stesso della persona. Una sorta di condensato, la quintessenza della sua anima.

     Una quintessenza che, se non rispettata, porterà certamente la persona in uno stato di malattia. Ottorino è un bel settantenne che, qualche anno fa, ha avvertito un dolore alle gambe che non gli permetteva né di camminare agevolmente né di andare in bici. Una sorta di fattore limitante nel suo quotidiano. Nel tempo il tutto si è aggravato, con complicazioni neurologiche e vascolari, generando l’impossibilità di camminare.

     Io l’ho incontrato dopo una degenza ospedaliera, dove i medici hanno fatto certamente tutto quello che era nelle loro possibilità fare. Purtuttavia, nessun protocollo terapeutico può rispondere al suo male primario: la solitudine, vera origine di tutti i suoi disturbi. Nonostante il matrimonio e le due figlie, la sua vita è trascorsa in solitudine. Una vita divisa tra il lavoro e i disagi di un menage da separati in casa.

     Solo, pur circondato dai familiari. Che dire? Difficile pensare di rimanere sani in un contesto come questo. Vale per tutti, non solo per Ottorino. Non mi dimenticherò mai di Francesca, un’adolescente che ho visto un paio di anni fa. Venne per una forma allergica stagionale che si inseriva e sovrapponeva ad un quadro cronico di asma. Aveva una difficoltà respiratoria, a momenti, importante.

     Avendo io la sana abitudine di indagare tutto il quadro, compresa la parte emotiva e mentale, le ho chiesto se aveva delle paure. La risposta è stata immediata: un pianto interminabile, con i singhiozzi, come quello di un bambino. Ad un certo punto, tra un singhiozzo e l’altro, mi ha detto e ripetuto: rimanere SOLA. Sola come? Senza amici, è stata la risposta.

     Non vi posso descrivere il pianto: interminabile, profondo, disperato. Come il bambino che si angoscia perché non trova più la madre. Il pianto dell’orfano. Un caso simile è quello di Gabriella, una bella signora, donna molto attiva e di spirito. Venne, ufficialmente, per una dieta. Nel corso della visita, come sempre, sono emersi dettagli importanti del suo stato d’animo. Tanto importanti che si è capito quasi subito che si parlava di bulimia.

     La signora tiene, nel suo bel salotto, un grande vassoio di cioccolata e cioccolatini di varia provenienza. Ogni sera, nel pianto della solitudine, ne mangia circa la metà. E poi va a letto, dove, a volte, continua il pianto. Al mattino si alza, si guarda allo specchio e fa buoni propositi per la giornata a venire. Poi viene la sera e la musica è la stessa. Tutto come la sera prima, un copione. Le ho chiesto perché: perché sono SOLA, senza un compagno. Senza l'amore.

     Eppure Gabriella ha un marito ed un figlio: unione che, vista dall’esterno, sembra perfetta. Tra la miseria delle mura domestiche c’è, purtroppo, una vita da separati in casa. Tutti terribilmente soli, tra un tradimento e l’altro. Che dire? Non c’è niente da dire. Cose dei vivi e non dei morti, come io dico sempre. E che dire di tutte quelle persone, uomini e donne, che, dopo la vedovanza, conoscono il carattere amaro della malattia? E’ la prima cosa che ti dicono: prima che morisse stavo bene. Dopo, è arrivato l’inferno della solitudine.

     E il dolore della malattia, la sofferenza fisica, il desiderio di lasciarsi andare alla morte, tanto…ormai. Potrei andare avanti all’infinito, ce n’è per tutti i gusti. La solitudine è una malattia? Tecnicamente no, visto che non è osservabile con nessuno strumento diagnostico. Inoltre gli esami emato-chimici non la rilevano. E siccome stiamo parlando di strumenti scientifici, tutto quello che non è rilevato da queste macchine scopritrici, non esiste. Punto.

     La scienza è così: tutto quello che è visibile, tangibile, rilevabile o indagabile esiste, tutto il resto non esiste. Fantasie per anime delicate. Che perdano tempo i Filosofi, ma i Medici che si dedichino a cose serie, altroché! Non si metteranno mica a giocare con queste fantasie! Ci manca solo questa!! Ma poi, perché chiamarla solitudine quando potremmo chiamarla depressione e curarla con un buon farmaco? Certo, basta cambiare nome e subito spunta all’orizzonte un bel protocollo terapeutico, contenente tutti i principi attivi idonei al caso in questione.

     Nel caso siano presenti sbalzi d’umore possiamo dare un bel farmaco stabilizzatore dell’umore, un antiepilettico (voi direte, ma che c’entra l’antiepilettico con l’umore?? Niente, ma va di moda. Terrificante). Cambiamo ancora nome e si cambieranno, ancora una volta i farmaci. Una girandola senza fine.

     A proposito, se in questa girandola infinita, e nel bisogno ansioso di scoprire l’origine del male, ci sogniamo di andare ad indagare gli ormoni tiroidei, scopriamo che tutti i nostri malanni dipendono dalla tiroide. Altroché la solitudine!! Te la do io la solitudine!! È la tiroide!! Povera tiroide, secondo me non ce la fa più neanche lei.

     Rifacciamo la domanda: la solitudine è una malattia? Lo è eccome, e piuttosto grave. Bene (si fa per dire), passiamo alla terapia: c’è un farmaco? Neanche per sogno. Una sorta di malattia cronica, assolutamente invasiva. Come un tumore che pervade ed impregna. Una malattia che offende l’anima e rende le persone schiave della presenza dell’altro. Servi di un padrone.

     Dipendenza assoluta, pena la malattia. Quindi? Che cosa bisogna fare per avere la libertà di vivere senza l’altro? Che fare per avere l’autorizzazione a vivere sani seppur da soli? Al di là di tutti i percorsi possibili, che cosa ci pùò salvare?

     Non c'è una risposta netta, ci vuole il coraggio di cambiare. Cambiare senza aspettare che lo facciano gli altri.