Io sono perfetta

 

     A colloquio con la signora Federica F. di Bergamo: dottoressa, io mi ritengo una persona equilibrata e moderata. Svolgo un lavoro di responsabilità con tenacia e misura. Per questo, sono particolarmente apprezzata dai colleghi e dai manager. L’equilibrio è qualcosa che fa parte di me. C’è una sola cosa che non sono in grado di moderare: il cibo. È una cosa di me che, ormai, non accetto più. Mi sembra impossibile di non riuscire a gestire questa cosa apparentemente facile, quasi stupida. Invece, davanti al cibo, divento stupida io. Perché mi rendo conto che mangio con voracità ed ansia. L’ansia di mangiare tutto, anche le briciole. Sento che ho toccato il fondo, rivoglio il  mio equilibrio. In tutto e per tutto. È possibile?


     Gentile signora, si sa bene che tutto è possibile, sempre. Anche quando non sembra tale. Nel suo caso, a mio avviso, occorre fare molto bene il focus sull’ansia, vero motore della ricerca del cibo. Anzi, per essere più precisi, occorre concentrarsi proprio su quell’atteggiamento, equilibrato e moderato, che lei tiene brillantemente durante il giorno.

     Misura e moderazione sono delle vere e proprie virtù. Proprio perché sono delle virtù, mi sento di definirle poco umane. Nel senso che sono più vicine allo spirito ascetico, in odor di santità, che non alla quotidianità dell’umano. Tutto questo è talmente vero che lei, a seguito di una condotta ineccepibile, rocambola sul cibo. Ma è assolutamente inevitabile, e non potrebbe essere altro che così. L’essere umano è un animale fondamentalmente aggressivo. Che ha bisogno di spazi e tempi adeguati, dove potersi esprimere al massimo delle proprie potenzialità.

     Viviamo in una società in cui i tempi e gli spazi di ognuno non sono rispettati e vengono regolarmente calpestati in nome di obiettivi economici. Nulla da dire sugli obiettivi economici perché anche questi sono importanti. Ma l’importanza di questo ultimo non significa che ognuno di noi non possa far sentire la propria voce. Se spazi e tempi sono compressi generano, in modo naturale, aggressività. Quindi un atteggiamento ostile, astioso e maldisposto verso cose e situazioni.

     Questo sentire, quando viene veicolato verso l’esterno, può tradursi in una bomba atomica di litigi oppure in un sano atteggiamento di confronto, vivace e dinamico dove ognuno esprime il proprio sentire con l’obiettivo di trovare una strada comune. È come dire che l’aggressività può essere canalizzata, ben veicolata ed utilizzata con successo. La persona che riesce a fare questo non conosce l’ansia, tantomeno l’ansia da cibo.

     Ma torniamo a lei: se il suo atteggiamento di equilibrio e misura fosse reale, mai e poi mai avrebbe questo rapporto con il cibo. Lei utilizza il cibo a scopo chiaramente consolatorio. Di cosa? A questo quesito solo lei può dare la risposta. Tuttavia posso affermare, con una buona approssimazione, che la sua ricerca di cibo va a compensare un atteggiamento "moderato" che non rispecchia e non rispetta la sua interiorità.

 

     È come se le dicessi che manca la coerenza. Tra quello che lei pensa, la sua visione del mondo, e quello che poi esprime attraverso parole e gesti. La sua ricerca di cibo mostra un chiaro scollamento tra il pensiero e le parole. Tra i nostri desideri più profondi e quello che, invece, ci ritroviamo ad esprimere. Se le nostre giornate fossero costellate anche dei nostri pensieri più profondi tutto cambierebbe.

     Se impariamo, con coraggio, a trovare una formula semplice per esprimere il nostro sentire, di certo la voragine tra l’interno e l’esterno si riduce ad un fossato. Una di quelle cose che divide ma che è anche semplice da attraversare.

     Nell’ambiente di lavoro (ma in famiglia è uguale) ogni tanto una bella arrabbiatura ci vuole. Di quelle costruttive e appassionate, che apportano un vero cambiamento nelle dinamiche tra le persone. E che ci fanno valere come persone, che ci permettono di lasciare una traccia, un segno. Quando una persona riesce ad esprimere il proprio sentire non ha bisogno del cibo consolatorio, o dello shopping compulsivo, o di raccogliere amori fugaci a scopo riempitivo.

     In tutti e tre i casi il motore che muove la dinamica è sempre lo stesso. Il non espresso. Una montagna smisuratamente grande di cui mostriamo solo la punta. E magari pretendiamo che gli altri ci capiscano al “volo”. E se non lo fanno abbiamo anche il coraggio di sentirci incompresi. Pensa un po’ che bella pretesa.

     E come se non bastasse, a condire questo bel mescolone, ci aggiungiamo un bel po’ di disturbi, di cui il reflusso gastro-esofageo è solo il più probabile. Ma non l’unico e non il più grave. Quando le energie interne NON sono veicolate costruttivamente verso l’esterno si generano le malattie. Di ogni ordine e grado, senza esclusione alcuna.

 

     Concludendo, mi sento di dirle che il suo atteggiamento, ineccepibile e inappuntabile, dovrebbe lasciare il posto a un espressività matura, ricca di pensieri ed interiorità. Sempre nel rispetto dello spazio e dei pensieri di ognuno degli altri attori. Questo è l’unico modo per uscire dalla dipendenza-cibo (ma vale anche per tutte le altre forme di dipendenza, gioco compreso).

     So bene che tutte queste sono belle parole. Che è tutto chiarissimo e bellissimo e persino emozionante, ma che poi non sapete come fare per. Quello che sfugge è il come, IL COME FARE. Perché non si sa mai da che parte cominciare. Perché non si sa mai come fare a mettere in moto questa macchina rivoluzionaria della nostra posizione nel mondo.

     Certo che non si sa come fare, perché se lo sapeste il problema sarebbe già risolto. Anzi, non sarebbe mai esistito. Il come fare è legato alla presenza di un Professionista, da cui farsi guidare. Pensare di farcela da soli è come sperare di andare sulla luna con l’elicottero. Psicoterapeuta? Guru? Medico? Non importa chi, importa che vi dia occhiali nuovi per guardare il mondo.

 

     L’equilibrio è una cosa nobile, indispensabile per vivere una vita degna di essere vissuta. Una vita che ti dà il senso di pienezza. L’orgoglio del “ce la faccio da solo” lascia i morti sulla strada.