L'attacco di panico

 

     A colloquio con il signor Luciano A. di Bergamo: non so neanche perché le scrivo, ma penso mi abbia colpito il suo sito. Scrivo quello che, per tanto tempo, ho scritto e detto a tutti. Lo dico anche a lei, tanto…uno più uno meno. Anche questa volta non cambierà niente, ma se scrivo è perché voglio disperatamente che tutto cambi. Mi sono abituato alla disperazione del panico. Non esco, non guido, non prendo l’ascensore, non parlo con gli sconosciuti. Per qualsiasi cosa mi faccio sempre accompagnare. Da solo non faccio niente. Lavo e pulisco tutto alla perfezione, da sempre. Mi sembra giusto così, ma poi mi sento dire che sono ossessivo. Si, sono ossessivo ed ossessionante. Vittima e carnefice. Vivo di rassicurazioni, ho bisogno di essere rassicurato su tutto. Come un bambino che cerca il seno della madre. Ma io ho 52 anni, ed il seno di mia madre è un’illusione. Lo sostituisco spesso con una montagna di cibo. Sono sempre solo, sempre più solo. Sono deluso, e stufo di sentirmi il solo a guardare la guerra che c’è dentro di me. Voglio, sempre di più, lasciarmi andare in un atto liberatorio.


     Gentilissimo signor Luciano, tra le tante ho scelto la sua mail. Mi è sembrata, tra tutte, la più rappresentativa. Inutile dire che il suo è un problema diffuso. Di certo questo non la consolerà. La consolerà, invece, il sapere che è risolvibile o, quantomeno, la probabilità di risolverlo è alta (si sa bene che in medicina, piaccia o no, non vi sono certezze).

     Prima di spiegarle come, desidero tradurre in parole le immagini che mi scorrono davanti. Infatti le sue parole mi ricordano la signora Carla: una donna esile esile, che ho incontrato qualche anno fa. Apparentemente combattiva e tenace, nella sostanza temeva tutto. Aveva tantissime paure, le più disparate. Girava sempre con i guanti, pensando, in questo modo, di difendersi da virus, batteri e da tutti i dai mali del mondo.

     Lavava compulsivamente e continuamente tutta la biancheria. Aveva un consumo di varechina inenarrabile. Il bagno era, forse, la stanza della casa più “battuta” da questo punto di vista. Aveva una sofferenza interna non misurabile. Ho avvertito chiaramente la sua angoscia: profonda, come qualcosa di solido, palpabile.

     Era drammaticamente stanca di vivere così. Il suo dramma l’ha portato da tutti i medici: nessuno l’ha capito, nemmeno io lo capii. Parliamo di vent'anni fa, circa. Com’è difficile, anche per noi, capire queste persone. Talmente difficile che ad un certo punto si pensa che non siano curabili, che non siano trattabili. E in questo modo vengono lasciati andare alla deriva. Un peccato mortale. Il peccato originale.

     Carla non l’ho mai dimenticata, e il suo caso ha segnato un solco dentro di me. Chissà se il destino ci farà incontrare ancora. Per abitudine, non metto mai limiti alla Provvidenza. Infatti, lo studio ininterrotto di questo caso, apparentemente enigmatico, mi ha portato a risolvere casi del tutto simili.

     Ad esempio quello di Anna, giovane studentessa alla presa con attacchi di panico quotidiani, e comunque ogniqualvolta avesse anche solo il minimo sentore che le persone le si avvicinassero troppo. Anche se erano persone conosciute e ben note. Lei avvertiva un senso, nettissimo, di soffocamento. Allontanava tutti bruscamente con uno spintone. Diceva che le facevano mancare il respiro. Adesso abbraccia tutti e sorride, quasi non ricorda il vecchio e grave stato di malessere. Una trasformazione. 

     Un altro esempio è quello di Maurizio, un trentenne con il pensiero fisso di stare male e che nessuno lo potesse aiutare. Ogni volta che si trovava da solo pensava di stare male. Risultato: stava realmente malissimo. In compagnia spariva tutto magicamente. Viveva con l’ossessione di essere da solo, perché sapeva perfettamente che nella sua solitudine avrebbe cercato la compagnia dell’attacco di panico. Adesso vive da solo, un vero single, anche lontano dai suoi familiari. Ha un lavoro stabile e gli occhi che ridono.

     Un altro caso è quello di Marcella, bellissima ragazza e giovane sposa, che si faceva venire un attacco di panico ogni volta che il marito tentava un, seppur timido, approccio sessuale. Irrigidimento immediato e senso netto di soffocamento. Ogni volta si finiva al pronto soccorso. Uno strazio. Un matrimonio al limite. Ora vivono le gioie del quotidiano, fatte anche di una sessualità ben espressa. Con il desiderio di un bimbo che gattona per casa.

     Gli esempi potrebbero essere molti altri ancora, tuttavia, piuttosto che fare un elenco, è bene soffermarsi sul come mai si siano risolti casi così complessi. La tecnica PNEI (Psico Neuro Endocrino Immunologia) permette una “presa” del caso unica nel suo genere. Questo perché accorda, contemporaneamente, l’approccio medico propriamente detto (con un’anamnesi molto raffinata) e l’indagine psicologica profonda alla ricerca dei reali motivi per i quali si verificano i comportamenti.

     Non è infrequente, infatti, che gli stati mentali anomali derivino da uno squilibrio minerale grave all’interno dell’organismo stesso. Facciamo un esempio: il caso di Maurizio, citato sopra, è stato risolto con un elemento minerale a base di argento.

     L’argento, come tutti gli elementi minerali, è normalmente presente nel nostro corpo. Ed un suo squilibrio può portare a stati mentali anche molto seri. Conoscere gli equilibri minerali interni dell’organismo, e gli effetti del loro metabolismo, porta alla soluzione di casi apparentemente impossibili.

 

5eV° Le Cri #munchcontest, Johann Brangeon 2017