Le malattie delle lavandaie

 

     In questo suggestivo dipinto dalle dimensioni medie, 95x135, troviamo i tratti romantici di un mestiere massacrante. Ma nell'arte si sa che anche le situazioni più critiche possono essere colte dall'occhio del pittore (o del fotografo) con una luce e una delicatezza tali da trasformare il banale in sublime e il quotidiano in straordinario.

 

     Nel nostro immaginario le lavandaie sono proprio come quelle del dipinto: donne che andavano "al canale" a lavare. In genere lo facevano insieme, si tenevano compagnia e condividevano la disperazione di una condizione domestica per noi inimmaginabile. Per nostra immensa fortuna.

     Sappiate però che oltre alle lavandaie "per condizione domestica obbligata" c'erano anche le lavandaie di professione, cioè quelle che lo facevano proprio di mestiere e che andavano al canale a sciacquare la biancheria ogni giorno in ogni stagione. Parliamoci chiaro: l'acqua del canale è fredda anche d'estate, pensate che cosa poteva essere d'inverno.

     Una condizione di vita contrassegnata dall'umidità e dal freddo. I dolori e l'assenza del farmaco così come noi lo intendiamo. I dolori e come unico antidoto il calore del camino la sera, a casa. Uno stato doloroso inimmaginabile. Ma non è tutto.

 

     Esiste un aspetto del lavare di cui non si parla mai, oppure se ne parla ma solo come dato descrittivo di una tecnica. Rappresenta la parte forse peggiore, meno dolorosa ma più grave come forma patologica, cioè quella parte che si svolgeva in casa.

     Al canale si andava solo per sciacquare i panni: immersi e tirati su più volte e poi sbattuti. Donne inginocchiate che si sbracciano tirando su e giù panni bagnati e continuamente sbattuti. Faticoso e duro ma all'aria aperta: si torna a casa sfibrati ma con buoni polmoni. Ma se parliamo di lavaggio vero e proprio quello si faceva in casa preparando la liscivia: acqua bollente e cenere di legna o anche cenere di carbone. Doppio risultato: sgrassante e sbiancante.

     Capitava sovente che venisse usata calce al posto della cenere: aveva un potere sbiancante maggiore. In ogni caso, che fosse di cenere o di calce, la liscivia veniva maneggiata e i vapori bollenti venivano respirati. Risultato: tosse importante e, dopo poco l'asma e/o difficoltà respiratoria a vario titolo. L'illustrissimo Professor Tommasini (Tommasini 1833), citando il collega anatomico francese Bonet, racconta il caso di una serva che "assorbendo con la bocca il fumo poichè stava con la testa curva in avanti su una caldaia colma di liscivia per nettare la biancheria, fu colta da una violenta angina pectoris che durò ostinatamente per sette anni, finchè alla fine morì soffocata. Una volta aperto il cadavere, un polmone fu trovato annerito e nei sui bronchi si rinvennero escrescenze carnose nere che ostacolavano il libero transito dell'aria."

     Il freddo e l'acqua gelida erano niente rispetto alla liscivia. Come se tutto questo non bastasse occorre aggiungere che la biancheria e gli indumenti erano "insozzati di ogni sorta di sudiciume, come quelli di uomini con la scabbia, infettati dalla sifilide, di donne mestruate". Pertanto venivano assorbite pericolose esalazioni di tutti i tipi "dalle quali sono contaminati il cervello e gli spiriti animali". Teniamo conto che l'Autore scrive e descrive fatti risalenti alle seconda metà del 1600.

     E vogliamo poi aggiungere le ovvie e drammatiche spaccature alle mani (anche se dopo tutti questi dettagli risultano ben poca cosa)?

 

     Questo nostro tempo presente, così complicato e ricco di insidie, rappresenta comunque uno stato di comfort e di qualità della vita così elevato che forse noi non riusciamo ad apprezzarlo appieno.

 

 

Le lavandaie a Verona, Angelo Dall'Oca Bianca 1910, olio su tela. Collezione privata.

______________________________________________________________________________

TOMMASINI G. (1833), Raccolta completa delle opere mediche del professor Giacomo Tommasini, Tipografia Dall'Omo e Tiocchi, Bologna, 40 voll.

RAMAZZINI B. (1713), De morbis artificum diatriba, Patavii 1713, originale

RAMAZZINI B. (1995), Le malattie dei lavoratori, Edizioni Teknos, Roma