Quando la tiroide si pronuncia...

 

         A colloquio con una giovanissima, Roberta Z. di Roma: dottoressa sono un po’ impacciata ed è per questo che mi rivolgo a lei. Nel mese di gennaio ho fatto, come ogni anno, le analisi del sangue. Avendo accusato un po’ di stanchezza, il mio medico di famiglia ha ritenuto opportuno inserire anche i dosaggi ormonali della tiroide. È risultato un TSH=12,25. Gli altri valori sono nei parametri. Il mio medico mi ha detto subito che avrei dovuto prendere una pastiglia a base di ormoni tiroidei per sempre. Comunque mi ha mandata dallo specialista, l’Endocrinologo. Il quale mi ha detto, in buona sostanza, la stessa cosa. Non contenta sono stata anche da altri due Endocrinologi: stessa solfa. Ma insomma, io mi sento sostanzialmente bene, di certo non mi posso definire malata, o perlomeno così non mi sento! Ho 24 anni, non fumo e non bevo. Conduco una vita sana, o almeno io così la vedo, tra studio e sport all’aria aperta. Ma perché io devo prendere una pastiglia per tutta la vita???


     Cara Roberta, che dire? Temo di avere perso il conto delle persone che mi sottopongono il tuo stesso quesito. Ed io, oramai, sono diventata una sorta di disco rotto, nel senso che do a tutti la stessa risposta: non fermatevi ai numeri della tiroide, andate oltre. Ora  mi spiegherò meglio.

     Parto dicendo che anche in questo caso, come capita spesso, ci si lascia impressionare dai valori numerici. A seguito di ciò si parte subito con la “cura” per fare rientrare nei parametri medi i valori fuori norma. Senza fermarsi a pensare che, forse, i valori sballati della tiroide potrebbero dipendere da cento e un motivi, tutti da indagare.

     Questo “j’accuse” non è rivolto ai pazienti, che, mediamente parlando, ignorano la materia medica. Ma a noi illustri sanitari, che spesso (quasi sempre?) non andiamo al di là del nostro orticello di competenze. O che sia il nostro orticello di capacità?

     Sta di fatto che, capaci o meno, quello che non ne viene più fuori è sempre il signor Paziente. È a lui, però, che dobbiamo la nostra esistenza in vita, cioè in attività, di professionisti.

     Magari proviamo ad andare oltre.

     A tale proposito, giusto per capire una volta per tutte che cosa significa andare oltre, vi racconto una storia che ha dell’incredibile. Pronti?

     In gennaio è venuto a trovarmi un simpaticissimo signore di Verona. Si tratta di un artigiano, con attività in proprio e personale dipendente. Una sera di quasi due anni fa, dopo una piacevole cena con gli amici, le forze dell’ordine lo fermano per un classico controllo del tasso alcolico. Risulta positivo: ritiro patente.

     Inutile entrare nel dramma del ritiro patente, di un artigiano poi. Dopo un primo momento di arrabbiatura mista a rassegnazione si passa alla cavalcata anti alcol: da oggi non si beve più, nemmeno il dito di vino a pasto! Così ci togliamo un peso, altroché!

     Dopo qualche mese il simpatico signore viene richiamato per la consegna, eventuale, della patente. A tale proposito la persona deve effettuare, su indicazione precisa, le analisi del sangue, allo scopo di verificare che non si sia davanti ad un caso di alcolismo cronico.

 

     Per chi non lo sapesse, informo che la molecola che viene indagata si chiama Transferrina-desialata (sembra qualcosa di esotico…). Per la cronaca, trattasi di una proteina che trasporta il ferro. Ha la caratteristica di essere molto sensibile alla presenza di alcol.

     Nell’alcolista cronico la Transferrina-desialata è presente sempre in quantità superiore alla media. Bene. Il nostro signore di Verona fa le analisi, risultato: la Transferrina-desialata rimane invariata, alta come prima.

     Vi devo raccontare il dramma? Sono certa che ve lo possiate immaginare, anche con tutta la ricchezza delle sfumature. Eppure lui non aveva più bevuto. Malgrado ciò le analisi, lette così nude e crude, lo danno per alcolista cronico. Quindi? Quindi si continua la cavalcata anti alcol e si rifanno le analisi. Risultato: stessa storia. Passa un anno e mezzo.

     Un bel giorno il signore di Verona viene a trovarmi e mi racconta la sua storia. E che storia. Davanti a una storia così bisogna andare oltre i numeri.

     Bisogna avere le idee chiare sia sulla fisiologia del corpo umano che sulla biologia delle cellule. In questo modo si scoprirebbe che ci sono degli alimenti che interferiscono con la Transferrina allo stesso modo dell’alcol, pur non essendo alcol.

     Chi conosce bene il mio metodo può già intuire, a colpo secco, che al nostro amico veronese io ho semplicemente proibito un alimento, che NON è l'alcol. Nel suo caso gli ho chiesto di evitare tassativamente il latte e tutti i suoi derivati, nessuno escluso.

     E gli ho anche suggerito di rifare, dopo un mese, le analisi, allo scopo di verificare già la presenza di un risultato (anche se parziale). Io lo so che lì per lì lui non mi ha creduta, tuttavia è stato ligio.

     Dopo un mese i valori erano rientrati perfettamente. In famiglia tutti basiti. A due mesi di distanza la Transferrina era ai minimi storici. Chi l’avrebbe detto? Chi mai avrebbe detto che il cibo poteva avere un’azione di interferenza così marcata?

     Eppure è così. Ma torniamo alla nostra tiroide. Se ogni volta ci limitiamo a metter mano ai numeri, tutti i pazienti diventano ipotiroidei cronici con farmaco a vita. Un vero peccato. In molti casi l’ipotiroidismo rientra perfettamente con una dieta disintossicante. Il cibo ha importanti interferenze con il metabolismo cellulare di tutti gli organi, tiroide compresa.

     La tiroide “dà i numeri” ogni volta che c’è uno scompenso di rilievo in altre sedi dell’organismo. Se ci limitiamo a trattare la tiroide non capiremo mai il reale motivo dello scompenso. Ostacolando il naturale processo di guarigione.

     Crediamo di curare ed invece rendiamo l’organismo, una volta di più, schiavo della nostra ottusità. Ogni farmaco ha effetti collaterali: farmaco chiama farmaco. Per raddrizzare i numeri serve testa prima che farmaco.