La stipsi

 

     "Se soffrite di stitichezza vi raccomando le mele e le pere cotte, le prugne giulebbate, le albicocche e le pere in composta." Pellegrino Artusi, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, 1891.

 

     Nell'800 la stipsi veniva trattata a colpi di fantasia e creatività culinaria. Chissà se per quei tempi era qualcosa di efficace. Magari si. Attualmente siamo poco fantasiosi e molto farmaceutici ma mi sembra che le cose non siano migliorate, anzi. La stitichezza è uno di quei mali per cui mi sento interpellata ogni due per tre.

     E chi mi interpella sono le donne. Gli uomini, tranne rarissime eccezioni che non fanno altro che confermare la regola, non conoscono questa tragedia fatta di sedute estenuanti a orari precisi che se salti di un quarto d'ora sei finita. E vai al giorno dopo, forse. Ma anche no.

     Spiegalo tu a un uomo. Spiegalo tu a uno che si accomoda in bagno dalle due alle tre volte al giorno, che con infinita calma si appresta all'alleggerimento fisico grazie alla leggerezza dei pensieri derivante dalla lettura amena di Quattroruote.

     E' chiaro che uno così non ti capirà mai. La stitichezza femminile è un oggetto incomprensibile per il mondo maschile. E a volte è incomprensibile anche per noi sanitari. Non per mancanza di conoscenza, ormai ampia, ma per la resistenza a oltranza nonostante le tecniche e le molecole più innovative.

     E d'altronde tutto quello che succede nell'intestino dipende da quello che entra attraverso la bocca. I pensieri e le tensioni hanno la loro bella responsabilità ma l'artefice resta sempre il cibo, dal quale tutto parte. Se non si cambiano le care e velenose abitudini alimentari non si pùò certo pretendere che l'intestino cambi rotta. Lui non fa altro che rispondere a uno stimolo.

     Entra il cibo sbagliato? Lui incrocia le braccia. Si continua insistentemente col cibo sbagliato? Lui si mette in sciopero totale. Avete voglia voi di andare in farmacia, in erboristeria, in internet e in chissà dove. Lui è ancora lì immobile e voi avete già la nevrosi.

     Chi si aspetta da questo articolo la soluzione al male planetario ha proprio sbagliato. La soluzione è individuale, come sempre, e parte dal cambio delle abitudini.

     Non siete disposti a cambiare le abitudini? Accettate con serenità il divorzio dal WC.

 

Prugne giulebbate Ricetta n° 656 tratta da: "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" di Pellegrino Artusi

«Prendete prugne secche di Bosnia che sono grosse, lunghe e polpute a differenza delle prugne di Marsiglia piccole, tonde, magre, coperte da quel velo bianco che a Firenze chiamasi fiore, le quali non farebbero al caso. Per una quantità di grammi 500, dopo averle lavate e tenute in molle per due ore nell'acqua fresca, levatele asciutte e mettetele al fuoco con: Vino rosso buono, decilitri 4. Acqua, decilitri 2. Marsala, un bicchierino. Zucchero bianco, grammi 100. Un pezzetto di cannella. Fatele bollire adagio per mezz'ora a cazzaruola coperta, che può bastare, ma prima di toglierle dal fuoco accertatevi che siansi rammorbidite abbastanza, perché il più o il meno di cottura può dipendere dalla qualità della frutta. Levatele asciutte collocandole nel vaso dove volete servirle, e lo sciroppo che resta fatelo restringere al fuoco per otto o dieci minuti a cazzaruola scoperta e poi versatelo anch'esso nel vaso sopra le prugne. All'odore della cannella, che mi sembra quello che più si addice, potete sostituire la vainiglia o la scorza di cedro o di arancio. È un dolce che si conserva a lungo e di gusto delicato, aggradito specialmente dalle signore. Non vorrei passare per il sior Todero Brontolon se anche qui tocco il tasto dell'industria nazionale nel vedere che si potrebbe coltivare in Italia la specie di susina che si presta meglio ad essere seccata e messa in commercio a quest'uso.»

Tratto da: https://www.alimentipedia.it/artusi/torte-dolci-al-cucchiaio/prugne-giulebbate.html
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